La commedia di Arlecchino e Pulcinella a Venezia

Teatro Potlach
Lunedì 28 novembre 2016 ore 10.00


NB I contenuti di questa pagina compongono la scheda didattica
che è possibile richiedere a scuole@teatridibari.it


Lo spettacolo

Si tratta di un enigma da risolvere per Arlecchino e Pulcinella… Chi è il cavaliere misterioso? Per risolverlo i due servi dovranno affrontare insieme il mare e una tempesta tropicale, le tempeste emotive dell’amore, gli inganni del Signor Pantalone dei Bisognosi, la vanità del Dottore. Ma nella bella Venezia l’amore ancora vince sull’avidità e i giochi di potere. Dopo un intreccio di bugie, furberie, astuzie e trabocchetti: colpo di scena! Il traditore verrà arrestato e il cavaliere misterioso smascherato. Ispirandosi ai canovacci della Commedia dell’Arte, Claudio De Maglio scrive una storia antica e attuale. Sei personaggi della Commedia Dell’Arte rappresentati da due attori.

  • Con: Nathalie Mentha, Claudio De Maglio, Luca Di Tommaso
  • Regia: Pino Di Buduo e Claudio De Maglio
  • Drammaturgia: Claudio De Maglio
  • Fascia d’età: dai 12 anni

La compagnia

Il Teatro Potlach è stato fondato nel 1976 da Pino Di Buduo e Daniela Regnoli. Il suo nome deriva dagli studi antropologici dei fondatori, e significa, nel linguaggio degli indigeni dell’America nord­occidentale, il rito del dono gratuito, che conferisce prestigio a chi lo elargisce e a chi lo riceve, superando le leggi del mercato e del profitto. La storia del Potlach nasce da una scelta di rifiuto e di ricerca dell’altrove, che ha spinto i suoi fondatori a designare come sede del teatro Fara Sabina, piccolo centro della provincia di Rieti. Questa scelta ha comportato fare teatro al di fuori dei circuiti sia tradizionali, sia dell’avanguardia, e inventare una forma di coesistenza, di vita comunitaria come premessa e condizione del lavoro teatrale. Lavorare sull’essenza tecnica del teatro, sulla ricerca dell’attore totale e della composizione drammatica basata sull’azione fisica, ha significato dedicarsi a una continua autoformazione, oltre i confini dell’idea istituzionale del teatro, nello scambio con il circo, la danza e la performance musicale, attraverso l’esperienza costante del viaggio e del contatto sul campo con le culture performative europee, asiatiche e latinoamericane. L’identità artistica del Potlach si è espressa contemporaneamente nella produzione di spettacoli di sala e di spettacoli di strada, e nell’attivazione di iniziative pedagogiche che hanno coinvolto l’insieme delle tecniche espressive e performative, in un continuo scambio di intenti e di strumenti con gruppi nazionali e internazionali, alla ricerca di un profilo professionale capace di offrire spettacolo ad ogni tipo di pubblico. Lo sviluppo delle ricerche sulla pedagogia, la composizione e lo spazio dell’azione ha prodotto dal 1991 ad oggi numerose attuazioni del progetto “Città Invisibili”, in cui l’intervento del Teatro Potlach ha mobilitato artisti e comunità di centri urbani in Europa, in America e in Asia. Il progetto continua a proiettare e a rigenerare i fondamenti del lavoro teatrale fuori dai teatri, e consiste nella trasformazione degli spazi quotidiani attraverso la scoperta dell’identità culturale del luogo e l’elaborazione dell’energia creativa dei suoi abitanti.

http://www.teatropotlach.org/


Prima della visione: spunti

A. La commèdia dell’arte

Genere teatrale nato in Italia alla metà del Cinquecento, e vivo fino alla fine del Settecento. Le sue caratteristiche, molto particolari, entusiasmarono il pubblico fin dalle origini: gli attori non recitavano testi, ma improvvisavano i dialoghi in scena; vi erano ‘tipi fissi’, cioè personaggi che tornavano da uno spettacolo all’altro (come Arlecchino, il Capitano, Brighella ecc.); alcuni dei personaggi portavano sul volto maschere di cuoio e sulla scena si intrecciavano dialetti e lingue differenti.


Il “commercio del teatro”

Precedentemente, fino a che gli attori non cominciarono a unirsi in ‘compagnie dell’arte’, gli spettacoli erano di tutt’altro tipo: acrobati, ciarlatani, narratori che si esibivano in fiere o mercati, o durante il carnevale. Oppure si trattava di commedie o tragedie che dilettanti colti (cioè persone che non vivevano del mestiere di attore) mettevano in scena cercando di far rivivere il teatro greco e latino. A volte gli artisti erano giullari o buffoni, che vivevano nelle diverse corti e coincidevano con il loro personaggio non per la durata di uno spettacolo, ma per tutta la loro vita. A metà del Cinquecento, persone di diversa provenienza sociale e con differenti specializzazioni cominciarono a riunirsi per dar vita a spettacoli più complessi, che non erano sostenuti da elargizioni e potevano essere ‘comprati’, non solo dall’aristocrazia ma anche da un pubblico meno ricco, mediante la vendita di biglietti di ingresso. Fu una grande rivoluzione, sia tecnica sia sociale: garantì alla gente di teatro una vita dignitosa e costrinse a mettere a punto un modo nuovo di lavorare in scena.


Tipi fissi e improvvisazione

Poiché il teatro dell’arte era in primo luogo un ‘commercio’, la necessità più importante divenne quella di creare rapidamente spettacoli sempre diversi, improvvisando. A tal fine ogni attore doveva raccogliere un insieme di battute, canzoni, brevi scenette comiche, monologhi, da usare in più occasioni: un lavoro più facile se ogni attore si specializzava in un personaggio solo. Questi tipi fissi erano costruiti in modo semplice: un costume, un dialetto, l’età e una condizione sociale precisa, a volte il mestiere. Non avevano la complessità dei personaggi inventati dagli scrittori, ma proprio per questo potevano riapparire in storie sempre diverse, cambiando leggermente carattere. Erano caratterizzazioni particolari che colpivano l’immaginazione del pubblico: costumi bizzarri (come quello di Arlecchino), lingue non consuete (come lo spagnolo del Capitano), o l’uso delle maschere, che li ricollegava a periodi di libertà come il carnevale. Uno spettacolo era composto in genere da una o due coppie di giovani innamorati; uno o due servi (per es. Arlecchino e Buffetto); una servetta (per es. Colombina); due vecchi (come Pantalone e il Dottore); il Capitano. Alcuni di questi personaggi ritornano anche in commedie scritte, in particolare in quelle di C. Gozzi e C. Goldoni.


Arlecchino

Maschera della commedia dell’arte. Il nome si fa derivare da Hellequin, tipo comico del diavolo nelle rappresentazioni medievali francesi. Apparsa in teatro nella seconda metà del 16° sec., la figura di Arlecchino assunse progressivamente rilievo e nel Settecento diventò una delle maschere più vivaci e caratteristiche, grazie anche al particolare costume (giacca e pantaloni aderenti, tappezzati di triangoli rossi, verdi, gialli, azzurri disposti a losanghe). Raffigura il servo ignorante e astuto, sempre affamato. Parla un linguaggio licenzioso e rudemente espressivo, che con il tempo si è fatto più castigato.


Pulcinella

Nota maschera napoletana e una tra le più popolari italiane. S. Fiorillo, ritenuto inventore del tipo, lo tratteggiava gobbo e allampanato, con camiciotto e calzoni bianchi da facchino, spatola alla cinta, cappello bicorno, baffi e barba: ma già alla fine del Seicento il volto di Pulcinella è pulito e il cappello s’è fatto a pan di zucchero. Quanto al nome, chi lo vuole suggerito dalla voce chioccia o dal naso a becco (piccolo pulcino), chi lo dice corruzione di un cognome molto in voga nella regione: Pulcinello o Polsinelli. Pigro, vorace, perennemente affamato, opportunista, sfrontato, chiacchierone, bastonatore spesso bastonato, Pulcinella è la personificazione comica dell’abbandono popolaresco a tutti gli istinti. Ma col tempo la maschera subisce una significativa evoluzione trasformandosi in un simbolo universale della napoletanità, di cui incarna l’esuberanza, il virtuosismo mimico e canoro, lo spirito ironico, canagliesco e generoso, la filosofia pratica e disincantata.


Maschera

Finto volto, di cartapesta, legno o altro materiale, riproducente lineamenti umani, animali o del tutto immaginari e generalmente fornito di fori per gli occhi e la bocca. Dall’uso teatrale della maschera derivò alla parola altro significato: quello di un tipo fisso che ritorna uguale in commedie diverse, con vestiti, movenze, psicologia sempre uguali. Tali maschera si trovano già nell’atellana, ma poiché questa subì l’influsso dei fliaci e dei mimi della Magna Grecia e della Sicilia, è possibile che qualche maschera dell’atellana provenga da tipi già consacrati in quelle composizioni sceniche. Le maschera antiche più note sono: Macco, lo sciocco ghiottone, Bucco, il ciarliero sciocco, Pappo, il vecchio rimbambito, Dossenno, il parassita gobbo e scaltro. Tipi fissi si trovano altresì nella commedia del 16° secolo. Il trionfo della maschera è con la commedia dell’arte: l’attore, in tutte le recitazioni, interpreta quasi sempre un unico personaggio.

fonte: Treccani.it


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