dall’omonimo romanzo di Giovanni Testori
nell’adattamento, interpretazione e regia di Roberto Latini
musiche e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
collaborazione tecnica Riccardo Gargiulo, Marco Mencacci, Gianluca Tomasella
produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi
con la collaborazione di Armunia Festival Costa degli Etruschi, Associazione Giovanni Testori, Napoli Teatro Festival Italia
con il contributo di Regione Toscana e MiBAC
Continua l’incontro e lo scambio artistico di Sandro Lombardi e Federico Tiezzi con Roberto Latini, che da qualche anno collaborano
nella realizzazione di spettacoli e progetti come il Teatro Laboratorio della Toscana. Prosegue la storia della Compagnia con Giovanni
Testori e il lavoro di ricerca sulle lingue segrete del teatro. Marcel Proust sostiene che i bei libri sono scritti come in una lingua straniera cosicché, secondo lo scrittore francese, ogni lettore, sotto ogni parola, può mettere il proprio senso o almeno la propria immagine, che spesso è un ‘contro senso’. Anche per l’attore ogni testo è come se fosse scritto in una lingua straniera e il suo compito è tradurre da questa lingua nella propria. Adesso sarà Roberto Latini ad affrontare la furente inventività linguistica di In exitu, 1988, e a
dare vita alla parola testoriana.
L’uscita di scena di un tossico degli anni ’80 in una città qualsiasi tra le Milano di un nord qualsiasi è dolore e solitudine straziante di una
vita consumata in evasione, in eversione. La narrazione cede il passo alla forma e si sostanzia su un piano raffinatamente linguistico.
Testori come fosse il pusher di una lingua teatrale che si fa linguaggio. Drogato è il testo e le parole sfidano il pensiero e la
sintassi, come l’Ulisse di Joyce, il Lucky di Beckett, come agli orli della vita, direbbe Pirandello. Tutto sembra svilupparsi nella sensazione del fondamentale e iniziatico “Quem quaeritis” del Teatro Sacro Medievale. In mezzo, c’è una nebbia incapace di fermare il tempo e la consolazione.
In Exitu è come una Pietà. La parabola parabolica di vita vissuta da Riboldi Gino è quella di un povero Cristo tenuto in braccio da
Madonne immaginate, respirate, disarticolate, nella fonetica di una dizione sollecitata fino all’imbarazzo tra suono e senso, come fossero
le parole ad essere infine deposte dalla croce sulle quali Testori le ha inchiodate.
“Chi cercate?”
“Non è qui!”,
risponderebbe l’angelo.