IL BERRETTO A SONAGLI – ‘a nomme ‘e Dio

Teatro Radar il 11/03/2023 ore 21 il 12/03/2023 ore 18

Nest Napoli est teatro IL BERRETTO A SONAGLI – ‘a nomme ‘e Dio

tratto da “A birritta ccu ‘i ciancianeddi” di Luigi Pirandello

uno spettacolo della Compagnia Nest

adattamento e traduzione Francesco Niccolini

Regia Giuseppe Miale di Mauro

con in o.a. Valentina Acca, Mario Cangiano, Giuseppe Gaudino, Adriano Pantaleo

scenografia Luigi Ferrigno costumi Giovanna Napolitano musiche Flo disegno luci Paco Summonte

grafica e foto di scena Carmine Luino assistente scenografo Vincenzo Leone

assistente alla regia Raffaella Nocerino

organizzazione Carla Borrelli e Valeria Zinno

comunicazione e ufficio stampa Valeria Aiello

Pupi siamo. Lo spirito divino ci è entrato dentro e si è fatto pupo. Pupo io, pupi voi, pupi tutti.

E ogni pupo vuole rispetto, non per quello che è ma per quello che si crede di essere e per la parte che sta recitando. Quella parte ti può fare schifo, al tuo pupo gli sputeresti pure in faccia, ma soltanto quando sei solo davanti a lui. Perché dagli altri non vuoi sputi: dagli altri esigi rispetto.

Ecco la storia de “A birritta ccu ‘i ciancianeddi”, testo che Pirandello scrive prima in dialetto  girgentino,  e  poi  traduce  in  versione  ridotta  ed  edulcorata  in  italiano. Storia feroce,  come  direbbe Visconti,  ritratto  di  famiglia  in  un  interno:  Beatrice, una  moglie  scontenta,  consapevole  di  essere  tradita,  sua  madre,  il  fratello,  una serva  spaventata,  una  femmina  di  paese  che  tesse  la  trappola  per  cogliere  in flagrante delitto il marito di Beatrice.

Se questa fosse una storia a parti invertite, cioè se fosse un marito a volere cogliere la moglie in flagrante delitto, sarebbe una cosa da poco che si concluderebbe con un delitto d’onore.  Ma non è questo il caso: a denunciare è una donna, che addirittura nella versione originale del testo, vuole il divorzio e gli alimenti, e lo fa contro la volontà di tutta la famiglia.   Perché non si affronta a campo aperto il tradimento, e il proprio dolore lo si offre   a Dio, altro che mettere in piazza il marito infedele.  Ma non basta: qui il problema   è reso più grave dall’identità del “becco” o, forse meglio, dal pupo del cornificato. Perché se c’è una moglie tradita, ben presto scopriamo che il tradimento avviene con una donna sposata, e quel che è peggio sposata con uno scrivano/filosofo: Ciampa, don Noci nella versione siciliana. Che non ne vuol sapere di passare per becco.

Così, quando scoppia la tragedia e la coppia di amanti è colta in trappola, si scatena di tutto pur di arginare lo scandalo.  Tutti sono pronti a mentire, dal delegato Spanò che deve raccogliere la denuncia, alla madre e al fratello della sposa tradita, a Ciampa stesso: tutti pronti a chiudere entrambi gli occhi e fare finta di niente.

Ma il prezzo da pagare per questa pace ricostruita è durissimo, feroce, cattivo. “A Birretta” è un testo che fa spavento: sa di violenza e d’ipocrisia, omertà e bigottismo. Il nome di Dio in questa casa viene usato sempre a sproposito, e serve a piegare la verità alle forme più false di perbenismo.  Nella nostra Italietta bacchettona e provinciale, questa storia trae dal dialetto la sua più grande verità: la lingua italiana smorza   i toni, rende tutto più ovattato.  Il dialetto fa esplodere la cattiveria, l’odio e lo scherno.  Per questo, quando ci siamo messi a riflette non abbiamo avuto nessun dubbio: era indispensabile ripartire dall’originale girgentino e non accontentarsi di adattarlo e tradurlo in

italiano, ma in napoletano. Meglio se una   lingua   partenopea   un   po’   invecchiata, non troppo   moderna.   Nessun ammiccamento né sconti, per una storia da poco, un rubinetto rotto che gocciola e che non ha bisogno di molto per mostrare gli scheletri che nasconde: un salotto, un piccolo mondo cattivo e pochi pupi, che un manipolo di attori si scambia e fa vivere dentro la loro banale tragedia da sottoscala ammuffito.

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